Storia di un bambino costretto sulla sedia a rotelle per 40 giorni e di suo fratello

Bambino sulla sedia a rotelleUn bambino costretto sulla sedia a rotelle per 40 giorni in seguito ad una frattura per un colpo dato ad un pallone è una sventura.

Se poi quello stesso bambino di solito per un unghia spezzata è capace di tenere la mano fasciata per una settimana allora la sventura diventa una tragedia greca.

Tralasciando la settimana di passione che abbiamo fatto tra pronto soccorso, visite mediche, ingessatura e alt
ro finalmente siamo riusciti ad ottenere per lui una sorta di autonomia con una sedia a rotelle e delle stampelle.

Passata la fase up dell’adrenalina arriva quella down per tutta quella serie di emozioni che mi hanno attraversato in questi giorni.

Al pronto soccorso ho imparato che ci sono bambini che si mettono gli elastici piccoli nel naso, anche cinque o sei, e che questo gioco del cazzo può diventare davvero pericoloso. Ho imparato che sono fortunato perché ci sono tragedie davvero tragedie, di quelle che spero di non vivere mai e che una gamba rotta per fortuna si aggiusta.

A casa ho visto mio figlio disperarsi per non voler salire sulla sedia a rotelle perché per un bambino abituato a correre, saltare e scivolare è davvero dura stare seduto tutto il giorno. Lui piangeva e io mi inca
zzavo perché doveva provare, lui si incazzava per lo stato in cui era e io piangevo per la rabbia di vederlo così. Domenica siamo andati al parco e per il solo fatto che il fratello avesse preso il pallone si è inchiodato all’entrata e non si è voluto muovere di un centimetro: Se io non posso giocare nessuno al mondo può giocare.

In famiglia per fortuna abbiamo DA2 che i primi giorni ha trasformato tutti gli attrezzi per la mobilità in gioco e così il fratello pian piano si è sciolto. Un fratello può essere una salvezza quando non è una disperazione. DA2 è stato servizievole, premuroso, gentile e divertente. Gli abbiamo detto che da grande potrebbe fare il dottore in modo da aiutare tutti quelli che non stanno bene e guarirli, ma lui vedendo le premure ricevute dal fratello ha esclamato: “Non voglio fare il dottore, voglio fare il paziente”.

Spero proprio che questo suo sogno non si realizzi mai perché significherebbe per me ben altro, essere paziente a vita, cosa che nei confronti di un figlio malato si deve avere in quantità industriali. E’ per questo che continuo a pensare che i genitori che hanno figli disabili o malati siano santi, davvero santi. Non c’è altro premio quando tutti i giorni devi combattere contro i disservizi, i marciapiedi occupati, la burocrazia, gli ascensori non funzionanti e soprattutto il dolore di tuo figlio.

DA1  uscirà da questa esperienza più forte, DA2 più premuroso e consapevole della sua capacità di aiutare chi ha bisogno ed io ed MPS con le ossa rotte, ma felici perché quelle si aggiustano sempre.