Una partita di calcio e diventi il mito dei tuoi figli

L’ultima partita di calcio con gli amici l’avevo fatta circa quattro anni fa.partita-di-calcio-con-i-figli-spettatori

Ero allenato, ma nonostante questo una gomitata di un avversario mi aveva incrinato una costola.

Da quel momento avevo deciso che la mia carriera amatoriale era finita, non potevo rischiare di farmi male e per questo non lavorare.

Lo sport migliore è quello che si vede in tv... così in questi anni io e i miei figli ci siamo allenati guardando il campionato di serie A, la Champions, l’Europa League e altri campionati.

Nelle ultime settimane era cresciuta di nuovo la voglia di ritornare in campo, di riprendere quei discorsi da spogliatoio lasciati in sospeso quattro anni prima. Quando stai tutto il giorno davanti ad un computer a scrivere o a cercare di farti venire una buona idea in completa solitudine le soluzioni sono due: o ti droghi o ti sfoghi con un sport dove ci sono avversari, dove c’è agonismo e dove c’è competizione.

Ho chiamato mio cugino (grande organizzatore di partite tra amici da decenni) e nel giro di qualche giorno vengo convocato: martedì sera ore 21 campo Marianna, Ercolano.

I miei figli alle 20:15, vedendomi preparare la borsa, chiedono di venire a vedere la partita.

Per la prima volta potevano vedere il papà giocare in una squadra contro altre persone e non volevano perdersi l’evento.

Sapere che sarebbero venuti al campo, accompagnati dalla mamma, per assistere alla partita mi aveva reso felice, orgoglioso e motivato. “Finalmente posso diventare il loro mito” ho pensato, in genere mi vedono seduto a scrivere e non è poi così avvincente. 

A conferma della potenza della situazione riporto fedelmente un dialogo: 

“Mamma, ma la partita di papà non la fa vedere in tv?” dice DA1

“No” risponde MPS ridendo che però viene corretta da DA2 che aggiunge “Certo che non la fa vedere è un amichevole!“.

Per loro ho corso, ho driblato, ho segnato sette o otto goal, neanche lo ricordo, e poi sono corso verso di loro per esultare e fare tutte quelle cose che si fanno per animare la folla in festa. Quei due bambini per me sono stati più di ventimila spettatori. 

Il giorno dopo, come ogni partita che si rispetti, sono iniziati i commenti tecnici e anche qualche dolore muscolare (lo avevo messo in programma). Abbiamo parlato della papera del portiere, del mio super tiro alla Holly e Benji, di un calcio di punizione e delle prossima partita. Ho letto nei loro occhi una cosa che non avevo mai visto: l’orgoglio di essere miei figli. Lo so che le cose importanti sono altre, ma a quest’età vedere giocare a calcio un papà significa poterlo raccontare agli amici, poterlo imitare, poter fantasticare nella propria mente scene dal grande valore motivazionale. 

Dopo tre giorni il ginocchio si è gonfiato, il solito ginocchio sinistro, quello dove più di dieci anni fa mi sono operato il menisco (se giochi a pallone minimo ti devi operare il menisco altrimenti non sei nessuno). Lo so non dovrei più giocare, il calcio è troppo traumatico specie se non si è allenati. Dovrei fare nuoto, ma lì non c’è niente di tutto quello che ho descritto. Mamma mia che palle!

E adesso chi glielo dice ai bambini che quella era l’ultima partita?

P.S. Quindi a questo punto resta solo la droga!