Il vuoto di uno smartphone tra i banchi di scuola

E’ da più di venti anni che lavoro con i ragazzi e le famiglie.
Ho incontrato vite rabbiose, abbandonate, deprivate che hanno cercato, a loro modo, di farsi strada.
Ho imparato a leggere le bugie, certi tipi di gestualità, alcuni modi di dire e atteggiamenti che mi hanno fatto sempre intravedere in chi avevo di fronte una voglia di combattere, di riscatto o semplicemente una richiesta di aiuto (che è la cosa più difficile da fare).
Un giorno la mamma di un ragazzino mi disse: “Non deve diventare come noi, lui la galera non se la deve fare perché è una vita di merda. Se devi picchiarlo fallo pure perché sarà per il suo bene. E devi sapere che quando torna a casa gli diamo pure il resto”.
Una mamma che ti affida con queste parole il proprio figlio compie da un lato un gesto di grande amore verso di lui poiché sa di non essere sempre all’altezza, dall’altro dimostra verso di te una immensa fiducia e riconoscenza per quello che fai.
Tutto questo ti spinge a credere che in un modo o in un altro riusciranno a sopravvivere, a farcela, a stare meglio.
In questi ultimi tre anni, però, lavorando quotidianamente con i ragazzi quello che incontro è quasi sempre il vuoto assoluto.
E’ una cosa che mi dispera perché esco da casa e sembra di dovermi tuffare in un buco nero.
Ho la stessa sensazione che avevo quando per un periodo ho lavorato con ragazzi vittima di abusi.
In quel caso però lo giustifichi perché quando ad abusare fisicamente di te è un tuo familiare o se non addirittura tuo padre allora non puoi che isolarti per non sentire il dolore.
Non si tratta di riempire un vuoto perché c’è il rischio di non colmarlo mai, ma di capire come chiudere questo buco che ingoia, come un mostro, questi ragazzi e le loro famiglie senza che se ne accorgano.
A scuola le proviamo tutte, ma veramente tutte sia dal punto di vista didattico e metodologico che organizzativo, per non parlare della relazione significativa che proviamo a creare con i ragazzi, del livello di accoglienza che si mette in atto a partire dalla dirigente e delle risorse esterne che vengono coinvolte e di quelle economiche che vengono spese.
Nonostante questo il vuoto è più forte.
La mattina mi trovo di fronte a vite abusate che sono incapaci di difendersi. Da cosa?
Da uno smartphone che li fagocita in una vita parallela passiva che gli spegne il cervello.
Il tentativo di insegnare ad usarlo in modo corretto e utile è vano perché il vuoto che crea tutto il resto è più bello, anestetizza e non ti fa sentire nulla, nessun dispiacere.
I segni di questo vuoto sono occhi rossi, insonnia, incapacità a concentrarsi, smania, perdita di aderenza dalla realtà, convinzione di sapere tutto poiché tutto è a portata di click.
I segni di questo vuoto sono genitori, neanche troppo grandi di età, che hanno riposto nello smartphone tutte le speranze, i desideri e i bisogni perché può essere un baby sitter, un compagno di giochi, un possibile datore di lavoro, una vetrina, un insegnante.
I segni di questo vuoto sono un’arroganza senza pari dove difficilmente trovi un genitore che ti dice che se il figlio sbaglia quando torna a casa ha pure il resto.
L’unica cosa che sento di fare è di gridargli che è tutta una menzogna, come quando ad un bambino abusato devi spiegargli e dimostragli che l’amore di un adulto non è quello che gli ha fatto credere il suo carnefice.