Mo te lo spiego a papà il mio lavoro sociale

Oggi apprendo la notizia che Marcello, 15 anni, è stato arrestato.
E’ l’ennesima volta che leggo di ragazzi che non ce l’hanno fatta o di bambini che vanno in prima pagina perché vittime di abusi, di maltrattamenti, di insegnanti frustrati, di incuria.

Si perché ci sono famiglie che vivono in condizioni disumane anche oggi che puoi parlare con un tuo amico dall’altro capo del mondo stando seduto alla scrivania.

Ci sono bambini che hanno genitori con problemi di salute mentale, o che li picchiano solo perché hanno posato male la forchetta sulla tavola o che sono costretti a rubare o a vivere senza avere un bagno in casa.
Ci sono bambini che vendono la droga, che si prostituiscono (loro malgrado), che hanno dipendenze di ogni genere, che non hanno avuto nessun tipo di stimolo e per questo sono in ritardo, ma poi ci sono anche ragazzi che muoiono di noia, che non apprezzano cosa hanno, che picchiano chi è diverso, che sniffano per divertirsi e organizzano rapimenti.
La rabbia sociale che nasce da tutto questo genera una società violenta che ti massacra di botte per un tamponamento al semaforo e che non è tollerante.
Io insegno che andare a scuola è importante, che saper fare una moltiplicazione lo è ancora di più se da grande non vuoi che ti facciano fesso. Spiego che a lavarsi non si dimagrisce né si consuma la pelle, che parlare in Italiano corretto non è sintomo di inferiorità, che le regole di un gioco vanno rispettate e che l’avversario non è un nemico da abbattere. E per fare questo sono andato a scuola, mi sono specializzato e ho imparato da chi era più esperto di me. Non è facile spiegare che il sesso non è sottomissione della donna in un atto animalesco, né che bisogna aspirare solo ad andare ad un reality. Spiego ai bambini perché è importante l’acqua e il sole, cosa è la fotosintesi, come si prende un autobus e che in ogni canzone c’è un testo. Gli propongo un film, un gioco (che non sia un videogioco) una mostra d’arte, una avventura fantastica.
E’ questo il mio lavoro, è questo che facciamo ed è questo che non riusciamo più a fare.
Non produciamo un prodotto finito dal quale trarre un guadagno, ma operiamo per un benessere sociale che, secondo molti, non è quantificabile.
E allora si decide che non è il caso di investire nelle politiche sociali, di non destinare soldi per progetti di prevenzione o di recupero o di sostegno di famiglie e ragazzi. Non riusciamo a fare il nostro lavoro perché i progetti nascono e muoiono nel giro di un anno quando invece c’è bisogno di continuità. Non riusciamo a sostenere questi bambini e ragazzi perché ci sono politici che credono che queste non siano priorità e che di tutto questo non capiscono un bel niente, ve lo assicuro. Sai quante volte ho avuto la sensazione che mi stessero facendo un piacere a farmi lavorare? Non hanno capito neanche che i servizi ai cittadini sono un ritorno in termini di consensi.
In Italia chi lavora per offrire una società migliore ai nostri figli non può essere un invisibile, un precario, un idealista. Io so per esperienza diretta che, se questo lavoro è fatto bene e continuato nel tempo, si riescono ad avere grandi risultati.
Ma se proponiamo alle famiglie e ai ragazzi modelli culturali che vanno nella direzione del rispetto, delle regole, della meritocrazia, dell’uguaglianza e di quelle altre cose che sono scritte nella costituzione allora tutti devono fare la propria parte.
E’ questo che faccio figlio mio…ma preferisco spiegartelo in questo altro modo: