Figli che cambiano voce.

Un giorno ti svegli e tuo figlio ha cambiato voce.

Un momento prima ha quella voce stridula, lamentosa e infantile che ti trapana il cervello, poi una mattina si sveglia e con il fare di un tenore al debutto ti chiede: “Cosa si mangia oggi?”.

Il primo pensiero è che un’entità aliena si sia impossessata del tuo piccolo, che abbia ingoiato un Bocelli o che sia solo tutto frutto di un brutto sogno.

Quando poi realizzi invece che si tratta proprio di tuo figlio, quello a cui poco prima cambiavi i pannolini o imboccavi cucchiai di pappina, allora ti tocca ritrovare, come genitore, di nuovo il centro.

Per anni ho faticato a trovare un posto nel mondo come padre, poi quando finalmente l’ho trovato ti arriva quest’uomo, con voce alla Cannavacciuolo (il famoso chef) che ti chiede ancora pasta perché ha tanta fame.

Allora il cambio di voce di mio figlio di per sé non è un problema, ma lo è il fatto che ogni sua parola, espressa a quei toni, mi ricorda che tocca ricollocarsi.

Quello che fino a un momento prima era una specie di monologo, ora diventa un confronto.

Spiegare le cose del mondo, quelle che si vedono per strada o in tv, raccontare una storia o guardare insieme un film al cinema mi ha sempre reso l’unico attore. Si sa, quando sono piccoli, i genitori sono una specie di super eroi dove tutto quello che si fa o si dice è Vangelo.

Ora in casa è tempo di un’altro punto di vista. Mio figlio, come tutti quelli che cambiano voce, inizia a fare riflessioni autonome, a volte anche distanti dal pensiero familiare. Di sicuro è un modo per affermarsi, per potersi riconoscere, ma soprattutto le leggo come un passaggio naturale di crescita che serva a dire: “Guarda che esisto anche io col mio modo di vedere le cose, che ti piaccia o no”.

Poi nella realtà si tramuta in una specie di rutto che esclama: “Non capisci niente”.