Studiare ai tempi del coronavirus

(Da “Studiare ai tempi del coronavirus” scritto per i miei ragazzi di quinta liceo )

Cari ragazzi,
approfitto di questa emergenza coronavirus per raccontarvi una cosa che mi è accaduta un po’ di anni fa.
Avevo poco più di sette anni, era una domenica pomeriggio ed ero a terra a giocare con una pista delle auto telecomandate insieme con mio padre.
Ad un certo punto avvertimmo qualcosa di strano e uscimmo sul balcone: l’aria si era fermata, il cielo era livido e c’era uno strano silenzio. Dopo qualche secondo la terra iniziò a tremare e così fuggimmo il più velocemente possibile per raggiungere la strada priva di ogni pericolo.
 
Era il 23 Novembre 1980 e ci fu un terremoto con epicentro nelle zone dell’avellinese davvero molto forte.
Dormimmo per strada e per alcuni giorni in auto, io ero piccolo e ricordo che non tutto mi era chiaro. Guardavo di continuo i lampadari aspettando che si muovessero per dare l’allarme di un’altra scossa e fuggire.
Nei giorni successivi ce ne furono ancora tante altre e capitava di dover lasciare casa in fretta senza avere il tempo di prendere nulla, di finire quello che stavamo facendo.
Per decenni ho sognato il terremoto, una paura che si collega alla parte più profonda di noi stessi e cioè quella dell’ignoto.
Non poter controllare un fenomeno naturale, non avere rimedi e affidarsi al caso è per un bambino di sette anni una cosa spaventosa, che ti segna e che ti fa convivere con la paura.
 
Allo stesso modo credo che questo virus stia agendo nelle vite di ciascuno di noi perché si è di fronte a qualcosa che non si può controllare, di cui nessuno è immune e che soprattutto non conosciamo e non vediamo.
“Copriti che c’è il coronavirus”, “non tornare tardi”, “lavati le mani”, “studia” e “fai attenzione a chi frequenti” sono le raccomandazioni che di sicuro in questi giorni i vostri genitori vi hanno fatto perché anche la paura ha bisogno di essere contestualizzata, di avere un riferimento reale, un dato preciso, altrimenti è panico.
Non a caso abbiamo assistito, in virtù di questo, a una serie di atteggiamenti fuori controllo. Dai titoli allarmistici dei media, ai post dei social, ai comunicati stampa istituzionali, agli scontri degli specialisti in tv.
Ora che poi anche dalle nostre parti c’è un caso converrebbe quasi scappare.
Ah no, non si può scappare, anche perché nessuno ci vuole in questo momento che siamo uno dei paesi più infetti dopo la Cina.
Che si può fare allora?
 
Io nel 1980 continuavo a giocare tenendo però un occhio fisso sul lampadario.
Non volevo farmi trovare impreparato dal terremoto, ma neanche volevo perdermi le cose belle e così avevo imparato a giocare disteso a terra, pancia all’aria, in modo da avere sempre il contatto visivo con il segnale del pericolo.
Questo momento storico ci permette di avere la guardia alta, di provare a leggere i segnali che la natura ci invia e selezionare le informazioni, ma soprattutto di riflettere sugli effetti della paura sulla collettività e su noi stessi.
Seguiranno una serie di riflessioni che prendono spunto da alcuni capolavori della letteratura.
Lo so che state pensando: “Mamma mia professò altra roba da studiare? Ogni scusa è buona”.
Avete ragione, speriamo che passi presto!
Il vostro prof Francesco Uccello